“I may destroy you”: “Prima di essere stuprata non ho mai pensato all’essere donna. Ero impegnata ad essere nera e povera.”
Probabilmente solo una delle frasi emblematiche della recente “sexual-consent drama” (“serie TV sul tema del consenso sessuale”) targata BBC one e HBO: “I may destroy you”. Il nuovo prodotto britannico è scritto, interpretato ed in parte diretto dall’artista anglo-ghanese Michaela Coel ed è probabilmente la sua natura (parzialmente) autobiografica a conferirgli estrema audacia e “autenticità”. L’autrice, infatti, scrive questa storia ispirandosi alla sua esperienza personale, essendo stata vittima di violenza sessuale mentre lavorava alla seconda stagione del suo primo show “Chewing Gum”. Questo coraggio consapevole, infatti, la rende una serie necessaria, soprattutto perché, nel parlare di violenza sessuale, si discosta intenzionalmente dalla visione stereotipata dello stupro, affrontando anche il concetto di “consenso” in modo nuovo, non avendo la minima intenzione di dipingere la donna come un’essere evangelico ma volendo sottolineare che: “uno stupro è uno stupro”. È interessante, infatti, come ad emergere sia anche una riflessione riguardo la famosa linea immaginaria che stabilisce cosa è violenza e cosa no. Una linea che, di certo, non è stata disegnata da una donna.
C’è una modalità atavica quanto agghiacciante che ruota intorno allo stupro, che si definisce nel tentativo di “spiegarlo”, analizzarne i tempi, i modi, il “perché”, in una maniera subdola e insinuante. Se la denuncia non è immediata “allora vuol dire che..”, se la vittima aveva bevuto “eh beh ma allora..un po’ se lo poteva aspettare”, se indossa gonne corte “eh ma allora se l’è cercata..”. Insomma, esiste la possibilità che la violenza venga giustificata! Sì, nel 2021, una donna deve ancora superare l’esame “post stupro”. “I may destroy you” pone una riflessione su tutti questi aspetti che gravitano intorno all’abuso sessuale, compreso il “tempismo”. La protagonista, infatti, non realizza subito di essere stata abusata, ha ricordi confusi, cerca di ricostruire e mentre lo fa, conduce una vita normale, sorride, beve, fa uso di droga, fa sesso, lavora. La storia di Arabella è la storia di molte survivors la cui ferita profonda può riemergere anche dopo anni. Un trauma del genere può celarsi in stanze recondite del nostro inconscio, il nostro cervello può decidere di soffocare un ricordo per proteggersi da un dolore dilaniante come quello di un abuso.
“I may destroy you”: un trauma che emerge gradualmente

La serie è composta da 12 episodi da 30 minuti circa, che riproducono gradualmente un percorso di cicatrizzazione e di guarigione doloroso ma sempre più consapevole della protagonista, Arabella, scrittrice e star di Twitter, che attraverso una serie di flashback iniziali, prende letteralmente visione di ciò che le è accaduto. Sin dai primi episodi si sviluppa questa ricostruzione a ritroso in cui Arabella verrà aiutata dai suoi amici Terry (Weruche Opia) e Kwame (Paapa Essiedu) prima a denunciare la violenza, cosa che non è sempre scontata, e poi a superare il trauma della stessa violenza subita.
Il percorso scostante che precede la guarigione di Arabella è un percorso profondamente umano, che trasmette anche l’importanza di ascoltarsi e di non pretendere di essere costantemente audaci, di potersi prendere il diritto di toccare il proprio dolore quando si è pronti a farlo. Il viaggio intrapreso dalla protagonista farà emergere tutta una serie di riflessioni relative non solo alla sua esperienza traumatica in quanto donna, ma in quanto donna “nera” con un preciso background socio-culturale e una popolarità virtuale ormai dilagante.
Grazia