Se non avete ancora avuto modo di conoscere la storia di Beth Harmon, beh, fate in modo di farlo accadere. Scrivetelo su un post it, segnatelo sulle note del telefono, la lista della spesa se preferite, ma fatelo! Insomma, sarebbe un vero peccato perdersi una serie tv quasi perfetta. Giustifico il mio “quasi” dal fatto che ho sempre odiato la “perfezione” nelle cose, credo piuttosto che la parola “autentica” sia il più bel complimento che io possa farle. Ebbene sì, questa miniserie firmata “Netflix” è autentica perché tutti i tratti che la compongono la rendono “una cosa a sé”. A partire dalla protagonista.

Ad interpretare magistralmente il personaggio di Beth Harmon, la regina degli scacchi, è la giovanissima Anya Taylor-Joy, un’evidente promessa del cinema con uno sguardo magnetico e uno stile interpretativo estremamente affascinante. La miniserie è tratta dall’omonimo romanzo di Walter Tevis, appassionato giocatore di scacchi che inserisce nella storia degli elementi autobiografici, in cui il gioco degli scacchi rappresenta la vita. Ogni mossa che facciamo ha delle conseguenze ed è impossibile tornare indietro, possiamo solo cambiare strategia. Questo elemento metaforico è senza dubbio uno dei significati che ha attirato la mia attenzione facendomi letteralmente immergere in questa storia. In particolare, come la vita e la crescita di Beth sia influenzata da ciò che la scacchiera rappresenti, dalle regole del gioco, da ogni singolo elemento che lo compone.
Quando Beth arriva in orfanotrofio, dopo un brutto incidente in cui la madre perde la vita, è spaventata e disorientata. Il suo carattere enigmatico emerge sin da subito, insieme alla sua profonda solitudine. Il rapporto con la madre è uno degli elementi centrali che è utile a capire i mostri che la protagonista porta con sé. Ma come ogni persona che fa i conti con i propri demoni, emerge quella straordinaria forza resiliente che fa sì di aggrapparsi alla vita con un istinto che alcuni esseri umani hanno forse più di altri. Essendo una bambina curiosa, durante una passeggiata (non consentita) per i corridoi, si imbatte nella stanza del custode dell’orfanotrofio ed è lì che vede per la prima volta la scacchiera. Ne rimane letteralmente stregata e solo osservando i movimenti inizia ad imparare a giocare. Da quel momento inizia ad ossessionarsi agli scacchi, proiettando sul soffitto di camera sua la scacchiera e “allenandosi” con l’immaginazione. Beth inizia a giocare con il custode, che le insegna tutto ciò che c’è da sapere sulle regole e le mosse da fare, pur notando per primo lo straordinario talento della giovane. Beth combatte la solitudine e i ricordi sfocati del suo passato con la scacchiera che compare ogni notte sul soffitto. Beth crede che sia effetto delle pillole verdi (tranquillanti) che le danno in orfanotrofio, altro elemento importante della storia. Crescendo, infatti, Beth ne diventa dipendente, e l’assunzione delle pillole diventa un rituale prima di ogni partita (prima di capire che le sue straordinarie capacità non dipendono dalle “pillole verdi”).

Beth cresce e viene finalmente adottata da una coppia. Le dinamiche all’interno della nuova famiglia, grazie soprattutto al suo arrivo, sono estremamente interessanti, perché rappresentano una novità nella società americana degli anni ’60, in cui generalmente le donne erano confinate ai ruoli di cura e gestione della casa e le figlie venivano istruite a fare altrettanto. Si pensi alla figura della madre adottiva, che presenta due personalità nettamente opposte in funzione della presenza o l’assenza del marito in casa. Beve, si ubriaca, fuma quando il marito non c’è, è la donna più dissoluta quando lui è a casa. Il rapporto con la madre adottiva è certamente un altro elemento importante per la storia, dopo che il marito deciderà di abbandonarle, la madre sosterrà Beth durante il percorso per diventare una “grande maestra” (il “grande maestro”, che è è il riconoscimento più alto che possa essere attribuito ad un giocatore di scacchi).
Il percorso di Beth è in continua crescita, sia come giocatrice che come donna e fa emergere lati contrastanti di se stessa anche in base agli avversari che si trova di fronte. La sua è un’intelligenza che potremmo definire “laterale”, la sua naturale capacità di instaurare un legame con la scacchiera, la porta a gestire il gioco quasi in maniera spietata, divorando letteralmente l’avversario nel più breve tempo possibile. Chiunque si trovi di fronte a lei non può che riconoscerne il “genio”.

La personalità dicotomica del personaggio emerge ad ogni puntata. I fantasmi del passato, infatti, portano Beth a tendenze autodistruttive come la dipendenza da alcol e droghe, che rischia anche di compromettere la sua carriera. Queste enormi fragilità umanizzano anche quella che diventa una delle più grandi giocatrici. Un’altra cosa che mi ha piacevolmente colpita è il fatto che Beth non ha bisogno di “mascolinizzarsi” per essere presa sul serio. Lei è perfettamente a suo agio con la sua femminilità che non rappresenta un ostacolo alla carriera.
Nonostante i periodi di smarrimento ed eccessi per colmare quella disperata, incolmabile solitudine, capisce che il suo straordinario talento non può essere gettato via. E così, dal seminterrato in cui il custode dell’orfanotrofio le insegna a giocare a scacchi, arriva davanti al campione del mondo, in Russia. Anya Taylor-Joy è stata in grado di interpretare uno dei personaggi più enigmatici ed affascinanti che abbia mai visto. Elegante, soave e al tempo stesso con quello sguardo sempre spaurito, come se non capisse cosa fa la gente quando, semplicemente, vive la sua vita. Lei ha fatto degli scacchi un riscatto, diventato poi l’amore della sua vita e che l’ha resa quasi immortale di fronte al mondo intero.

Per ultimo ma non meno importante è lo stile. Lo stile che si riflette soprattutto nella scelta dei costumi, dei colori, del look di Beth e degli altri personaggi. Indubbiamente uno stile molto elegante. Proprio per far comprendere come nulla in questa serie sia lasciato al caso, la costumista Gabriele Blinder ha affermato di aver pensato agli abiti cercando di basarsi sull’introspezione del personaggio. Non a caso, infatti, molti abiti della protagonista hanno delle fantasie geometriche, che richiamano la scacchiera.
Non volendo andare oltre ma sperando che questa mia analisi sia servita ad invogliarvi a guardare questa meravigliosa perla, vi lascio con una delle frasi per me molto indicative della figura della “regina” degli scacchi e che fa parte di una scena che mi ha profondamente colpita:
“Esiste tutto in mondo in quelle 64 case. Mi sento al sicuro lì dentro. Posso controllarlo, posso dominarlo. Ed è prevedibile. So che se mi faccio male è solo colpa mia.”