“Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi”. Così scriveva Charles Evans Huges, portando alla luce, oltre che una grande verità, un diritto inalienabile e una grande conservazione di dignità per ogni essere umano: la tutela della propria autenticità.
Da sempre il comportamento umano ha la necessità intrinseca di riconoscere oggetti e persone dando loro un nome e ancor di più un’appartenenza all’interno di “categorie”, come se una sola parola, piuttosto che un’azione, possa essere sufficiente a definire l’essere umano. Nasciamo all’interno di gruppi di riferimento che si appropriano del diritto di decidere ciò che è “normale” e ciò che non lo è, educando intere generazioni alla conformità. In geometria, la parola “conforme”, si riferisce ad una rappresentazione di enti di un piano su un altro piano che conserva gli stessi angoli. È una forma “uguale ad un’altra” che nega le moltitudini, le sfumature, la possibilità di poter dar spazio ad un’idea di dinamicità, ad un connubio di aspetti dicotomici che possono esistere “insieme”. Spesso, però, questo conformismo non è solo “allineamento passivo”, è anche persecuzione attiva. La pretesa che ognuno debba rientrare in tali categorie ha sempre portato e porta, ancora oggi, la soppressione dei diritti che si perpetua in diverse forme.

All’interno di questa discriminazione vi è quella che riguarda l’identità sessuale che ancora, per molti, rappresenta una “scelta”, un fatto logico, e non un naturale modo di “essere”. Questa resistenza alla diversità ha generato altrettanta resistenza, attraverso la nascita di numerose lotte sociali per l’affermazione della propria identità sessuale. Il diritto di poter essere liberi di esprimere la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale e il diritto di non essere massacrati o uccisi per questo, è qualcosa con cui dobbiamo fare i conti.
Nonostante le numerose lotte passate, ci troviamo in uno dei momenti storici più bui, in cui, in moltissime parti del mondo, i diritti fondamentali delle persone Lgbtq+ vengono messi in dubbio, calpestati, repressi anche attraverso la violenza e la prevaricazione. Nel mondo ci sono ancora 70 Paesi dove essere gay non è solo fonte di discriminazione ma è addirittura illegale. L’Africa è il Paese che conta più stati in cui è previsto il carcere o, addirittura, la pena di morte per le persone Lgbtq+. Una delle nazioni attualmente protagonista per la repressione e la negazione dei diritti umani è la Bielorussia, dove ancora le unioni civili tra persone dello stesso sesso non sono riconosciute e dove una mentalità repressiva vorrebbe imporre come opinione “di stato” che considera l’omosessualità come una malattia da curare. In Polonia, le manifestazioni a sostegno dei diritti civili hanno portato a numerosi arresti e atti di violenza da parte delle forze dell’ordine. Nell’Ungheria di Viktor Orbán, nuove leggi vietano alle persone transgender di registrare il cambiamento di sesso.

La situazione italiana non è certamente migliore rispetto a quella di altri Paesi. Il 20 ottobre, dopo numerosi rimandi e tentativi, verrà discusso alla Camera il ddl Zan-Scalfarotto sull’ “omolesbobitransfobia e misoginia”, che vuole implementare la famosa legge Mancino, quindi estendere i reati d’odio (istigazione a delinquere e o atti di violenza già puniti dal codice penale con gli articoli 604-bis e 604-ter) anche all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
Nell’ultimo anno, in Italia, sono stati circa 138 i casi di omolebsobitransfobia denunciati, tra cui 74 avvenuti nel Nord Italia, 30 al Centro, 21 al Sud e 13 nelle Isole. La maggior parte degli episodi si configurano in vere e proprie aggressioni, altri si rivelano adescamenti a scopo di rapina, ricatto o estorsione, violenze familiari. Vi è un numero altrettanto massiccio di discriminazioni o insulti in luoghi pubblici, scritte sui muri, auto o abitazioni. La realtà virtuale non è di certo meno rilevante, sono tanti infatti gli episodi di hate speech e incitazione all’odio. I dati diffusi dall’Arcigay su questi casi, sono però solo parte di un fenomeno assai più diffuso, considerando anche che in un paese come l’Italia dichiararsi omosessuale, bisessuale o transessuale è ancora considerato un “atto di coraggio”. Coraggio, purtroppo, ancora accompagnato da una paura costante per la propria persona, stando ai dati e agli episodi di violenza ai danni di persone provano a vivere una quotidianità che molti altri ancora ritengono di dover “tollerare”.

Dopo i numerosi episodi di violenza ai danni di persone appartenenti alla comunità Lgbtq+, oltre che le donne, c’è chi dice ancora che una legge contro l’omolesbobitransfobia e misoginia non sia necessaria. La violenza nei confronti del “diverso” avviene anche attraverso le parole, com’è successo nel posto in cui vivo, la Calabria, in cui il vicepresidente della Regione, Nino Spirlì, durante un intervento pubblico ha “rivendicato” la libertà di utilizzare la parola “frocio” e “negro”, quasi come fosse un diritto che gli era stato tolto e offendendo la memoria e la dignità di chi, a causa di quei termini, ha visto e vede la propria vita e la propria libertà violata. Spirlì si è scagliato, infatti, contro quella che ha definito “la lobby frocia, che ti impedisce di chiamare le cose col loro vero nome”. La presa di posizione da parte di Arcigay “I due mari” di Reggio Calabria è stata immediata. La presidente, Michela Calabrò, ha infatti rilasciato una dichiarazione a City Now, un giornale locale, in cui si è dissocia in maniera netta dalle dichiarazioni di Spirlì, affermando: “Non possiamo tollerare questi atteggiamenti da chi amministra e rappresenta la nostra Regione per tale ragione abbiamo deciso di avviare una mobilitazione con tutte le forze sociali e cittadine per rimettere al centro del dibattito la lotta ad ogni forma di discriminazione, linguaggio d’odio e a tutte le forme di prevaricazione che alimentano violenze ed esclusione sociale”.

La mobilitazione nazionale “Dalla parte dei diritti” si terrà sabato 17 ottobre e sarà volta a sostenere attivamente la legge e manifestare ancora una volta contro l’omolesbobitransfobia e misoginia. Sono già trentaquattro le città che hanno raccolto l’invito alla mobilitazione e fissato l’appuntamento, segnalato sul sito dallapartedeidiritti.it: si scenderà in piazza a Agrigento, Alessandria, Aosta, Asti, Bergamo, Brindisi, Caserta, Catania, Chieti, Cremona, Cuneo, Ferrara, Frosinone, Genova, L’Aquila, Lecce, Livorno, Messina, Milano, Padova, Palermo, Pavia, Pescara, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Rieti, Roma, San Gemini, Sanremo, Siena, Taranto, Trieste, Varese e Vicenza.
Perché considerarsi un Paese civile significa non far rimanere nessuno indietro, considerarsi un Paese democratico vuol dire riconoscere che nessun diritto è meno importante di un altro.
“Perché i diritti aggiungono, non tolgono niente a nessuno”.
Grazia