Restiamo a casa, noi che possiamo

Carissimi, continuano le settimane di quarantena e così continuo a condividere alcuni pensieri sempre da Nea Moudania, Halkidiki, Grecia. È iniziata per me la quarta settimana di isolamento (quasi completo, ancora ci è permesso di uscire per praticare un po’ di attività fisica e chiaramente fare la spesa). Nelle settimane trascorse a casa ho creato, come d’altronde hanno fatto in molti, una routine e stilato una lista di attività che mi hanno permesso di impiegare in maniera proficua il mio tempo nonostante l’emergenza e l’attuale situazione.
Siamo a fare esperienza di una crisi mai vista prima d’ora, e come ben sappiamo ognuno si arrangia come può per passare il tempo, lavorare da casa, prendersi cura della propria famiglia anche con mezzi oramai ristretti, chi continua a lavorare per poter salvare vite umane, e c’è purtroppo chi non può fare niente di tutto ciò.
Tra le varie possibilità che il web e la tecnologia mi offrivano, la scorsa settimana ho deciso di seguire un seminario online (webinar) che verteva sulla legge per i rifugiati, internazionale ed europea, a cura di un’avvocata svizzera. Si tratta di un tema che mi è sempre stato molto a cuore, anche a fronte dei miei studi sul Medio Oriente, e su cui in questo periodo mi sto informando quotidianamente a causa della crisi in corso sul confine greco con la Turchia inaspritasi proprio in concomitanza con lo scoppio della pandemia da COVID-19. Ho quindi ritenuto importante dedicare del tempo per comprendere un po’ meglio la situazione da un punto di vista giuridico.

Non voglio dilungarmi troppo in merito ai fatti accaduti tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, né riportare qui il contenuto della lezione citata prima, ma vorrei invece condividere una serie di riflessioni che si sono susseguite in questo periodo caldo legate appunto a questo argomento.
La tensione all’interno dei campi profughi presenti sul territorio greco, in particolare sull’isola di Lesbo, dove è presente il campo più grande d’Europa, è esplosa in maniera irreparabile a seguito della decisione del governo di Ankara di aprire le frontiere con l’Europa, quindi il confine con la Grecia, il 28 febbraio scorso. Migliaia di migranti hanno attraversato il confine trovandosi di fronte alla polizia ellenica che ha messo in atto ogni violenza per ricacciarli indietro. Questa è stata la causa delle rivolte all’interno dei campi già presenti all’interno del paese, poiché la risposta dell’Europa alla decisione turca violava qualsiasi convezione e legge riconosciuta dall’Unione. Nessuno sa come si evolverà la situazione già gravissima adesso che un’emergenza sanitaria è in corso.


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Uno dopo l’altro, ogni paese europeo ha messo in atto misure di prevenzione del contagio più o meno rigide a seconda di quanto rapidamente il virus stesse attaccando la popolazione. Chiusura di scuole, negozi, ristoranti e attività commerciali, aziende e uffici, proibizione di ogni spostamento non giustificato da una grave motivazione; tutto questo ha portato sin dall’inizio dell’emergenza a delle conseguenze durissime a tutti i livelli, quello economico tra i più preoccupanti insieme alla paura del collasso del sistema sanitario di ciascun paese. Ma non serve che lo scriva io, di questi fatti siamo tutti a conoscenza, d’altronde non si parla letteralmente d’altro. Ed è proprio su quell’altro che vorrei attirare l’attenzione, anche se sarà quella dei pochi lettori e poche lettrici di questo blog.

Non esiste ancora alcuna misura di prevenzione o di isolamento all’interno dei campi profughi traboccanti di persone vulnerabili e ad alto rischio di contagio, né tanto meno sono stati stanziati dei fondi per le cure mediche. Oltre a ciò, la momentanea impossibilità di spostarsi da un paese europeo all’altro ha causato lo stallo di qualsiasi procedura per il ricongiungimento familiare o l’accoglienza da parte di paesi terzi di migranti, rifugiati e richiedenti asilo prevista dalle diverse convezioni vigenti in Europa (Ginevra e Dublino). Così, quelle che da un lato vengono considerate misure necessarie per far fronte a un’emergenza sanitaria, dall’altro violano i diritti di migliaia di persone in attesa di lasciare i campi e gli “hotspots” in cui sono costretti a vivere in condizioni disumane.


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Ritengo importante e umano ricordarci tutti i giorni di situazioni diverse dalle nostre, sia lontane che vicine, ricordarci che un numero troppo alto di individui non può soddisfare le proprie necessità di base ogni giorno, che non sa come ci arriverà, alla fine di quel giorno. Ci penso ogni volta che mi lamento, sebbene in maniera scherzosa, di non trovare nessun film interessante da guardare oppure quando vorrei uscire a prendere un caffè ma sono costretta a casa. Potrebbe andare peggio, eccome.
Mi rendo conto che questi pensieri possano risultare banali, ma ci credo profondamente e trovo davvero essenziale restare informati e con gli occhi aperti su ciò che sta accadendo nel mondo, non solo per riconoscere tutto ciò che non ci manca, ma per ritrovare un senso di umanità che, a mio avviso, è andato perso ben prima dell’emergenza coronavirus.

Auguro a tutte le persone che leggeranno queste righe di essere in salute e continuare la quarantena nei migliori dei modi, noi che possiamo.
Come diceva Vittorio Arrigoni, restiamo umani!

A presto,

Federica

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