La bambina georgiana

Qualcuno dice che viaggiare sia il modo più efficace per vivere molte vite. Vi posso assicurare che lo è. Da sempre è il mezzo che uso per fregare il tempo, dilatarlo, renderlo più denso. Quando decidi di uscire dalla famosa “zona di comfort” la vita ti cambia. La mia, ad esempio, ha iniziato a prendere la forma che avevo immaginato da bambina. Oggi vi racconto di un mio viaggio, un viaggio fatto di persone, paesaggi, atmosfere, idee, cibi, culture diverse che ho lasciato entrare e che conservo ancora in casseforti che ogni tanto decido di riaprire, proprio come adesso. Il viaggio di cui vi parlo oggi è frutto di uno di quei sì detti all’ultimo minuto. A Febbraio dell’anno scorso sono partita per il mio primo Erasmus +, un progetto europeo che mi ha portato in Romania per un’intera settimana. E’ stata da subito una scommessa che sapevo di poter vincere. Quando decidi di scommettere con te stessa difficilmente prendi in considerazione di perdere sul serio, in qualche modo sai che ti rimarrà quel coraggio sfacciato d’esserti andata contro, o incontro. Tutti i viaggi ci regalano qualcosa, a me questo viaggio ha dato tanto; tra tutte le cose, un momento che ho deciso di raccontare. Vorrei poter rendere il momento di cui sto per parlarvi in tutta la sua pienezza. So che non ci riuscirò, ma ho comunque deciso di darmi una chance.

Ricordo come fosse ieri quel pomeriggio di Febbraio. C’era neve ovunque e una calma a cui ripenso ogni volta che mi concedo un respiro più lungo degli altri. Avevo trovato una persona rara in quel pezzo dimenticato di mondo, una di quelle con cui ti ritrovi a condividere quegli scorci di vita irregolari, quelle che arrivano come le cose che non avevi chiesto. Era come conoscerla da un tempo molto più lungo di quello che abbiamo avuto, era come sapere già che ci saremmo incontrate. Avevo trovato una di quelle persone che senti come casa tua, una di quelle persone che sorridono con occhi e bocca. Ne ebbi la certezza quando, in quella panchina al freddo, ci ritrovammo a parlare di tutto, di religione, politica, famiglia, dei nostri progetti futuri. Le nostre differenze ci tennero sedute lì per un po’. tra una parola e l’altra finimmo col parlare della sua infanzia, un’infanzia assai diversa dalla mia.

Gura Humorului – Romania

Consapevoli che quel momento non sarebbe tornato, decidemmo di viverlo con una sacralità che non si è ancora persa. Mi ritrovai ad ascoltare una storia che non sembrava vera davanti ad un caffè, in mezzo alla neve, nel nord della Romania. Fin da subito, rimasi colpita da quello sguardo fiero, uno sguardo che non doveva forzare un’umiltà che gli era da sempre appartenuta. Aveva gli occhi di chi aveva vissuto molti anni con un coraggio ammirevole, a volte senza neanche saperlo. Il sole di metà pomeriggio forse non bastava a scaldarci in mezzo a quel gelo di fine inverno, ma noi tenevamo le mani ben salde alle nostre tazze bollenti. Mentre parlava, immaginavo quello scenario triste e, a tratti, pieno di meraviglia, quello di un’infanzia che mai avrei potuto immaginare.

Quando la Georgia era in mano ad un regime, Mariam era solo una bambina. Nei primi anni Novanta, subito dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Georgia attraversò un periodo di conflitti interni ed estrema povertà; il regime aveva lasciato il Paese al lastrico, l’economia era inesistente, le risorse alimentari insufficienti, la gente lavorava per due Laris (la moneta georgiana, corrispondente a 32 centesimi di euro) al mese. Il Paese era governato da “Ladri legalizzati”, persone che detenevano il potere abusivamente avendo anche la libertà di commettere crimini senza essere sottoposti a nessun controllo. “Le persone avevano paura di uscire di notte, perchè se lo facevi, c’erano alte possibilità che tu venissi aggredito. Raramente la gente portava con sé oggetti di valore e se lo faceva, stava attenta a nasconderli meglio che poteva. I criminali non avevano paura di strappare orecchini o borse alla gente. Non c’era polizia, la maggior parte era altamente corrotta e, per dirla tutta, collaborava con i “Ladri legalizzati”. A quei tempi la gente cercava in tutti i modi di sopravvivere.” Fu così che Mariam iniziò, e fu così che iniziai ad entrare in questa storia. “Non c’era elettricità, né gas, a volte neanche acqua. Usavamo una stufa a legna per riscaldarci in inverno e c’era un’ora in cui toglievano la luce e la gente cercava di sbrigare le faccende prima che ciò accadesse. Avevamo la tv ma l’accendevamo raramente, seguivamo le notizie alla radio e leggendo i giornali. Gli inverni erano molto duri da affrontare, dovevi preparare la legna durante l’estate per non passare un inverno al freddo.” Tra una frase e l’altra provavo una tale ammirazione che a tratti diventava vergogna, me ne stavo completamente in silenzio ripensando a tutto quello che avevo avuto io. Somigliava ad un romanzo di Dickens, in cui si racconta di una povertà semplice, in cui i bambini giocano accettando la miseria come qualcosa che non hanno scelto ma che riescono comunque a portare in spalla. Aggrottavo la fronte ai particolari più assurdi e la distendevo tutte le volte che provavo ammirazione. A tratti toccavo con mano quello che stavo ascoltando. Non mi ero mai resa conto di quanto un evento per me straordinario potesse rappresentare la vita di tutti i giorni. Non lo dissi ad alta voce, ma ripensai a tutte le volte in cui mi lamentavo quando andava via la corrente e i miei apparecchi elettronici smettevano di funzionare per cinque minuti. Mi sentii piccolissima, la persona meno coraggiosa del mondo. Pensavo di aver dovuto portare il peso di molte cose, non avevo sopportato nulla in confronto ad una guerra in atto. Non mi ero mai trovata sotto un regime, non sapevo che aria avrei respirato, come sarei stata, forse la mia parte rivoluzionaria sarebbe venuta sù meglio di così.

Nonostante il clima presente in Georgia, la gente cercava di condurre una vita normale. Mariam andava a scuola, al parco giochi, con una tale naturalezza mi disse che, essendo piccola, non sentiva il peso della sua condizione. Pensava a giocare, a stare fuori casa più tempo che poteva. Forse mi colpì proprio quella naturalezza, quella leggerezza con cui mi raccontava la povertà. Mi raccontò un aneddoto che mi lasciò a bocca aperta, perchè io cose del genere le avevo viste solo nei film. “Durante l’inverno, quando le giornate erano più corte, era molto difficile finire i compiti prima del tramonto, quindi continuavo a studiare aiutandomi con la luce di una candela. Tutti gli inverni della mia infanzia sono collegati alla luce di una candela, perchè era l’unica risorsa che avevamo per far fronte alla mancanza di elettricità.” Capirete che, cose del genere non si sentono tutti i giorni.

Le chiesi cosa provasse, cosa fossero stati per lei quegli anni. “Oggi, quando io ed i miei amici ci guardiamo indietro diciamo sempre “bui e dolci anni 90”, perchè sono stati esattamente così. Furono bui in tutti i sensi ma anche dolci, perchè, d’altra parte, avevamo relazioni più vere e più strette con la gente, giocavo con gli altri bambini per strada durante l’estate e posso dire che la mia infanzia è stata bella, nonostante tutte le cose che stavano accadendo nel mio Paese. Furono dei tempi terribili, ma per un bambino che voleva solo giocare con i suoi amici, che voleva stare per strada o giocare in cortile, fu fantastico. Quando mi guardo indietro non vedo tempi bui, li guardo ancora con gli occhi di quella bambina di 6 anni che amava uscire fuori a giocare.

Io e Mariam siamo amiche da un anno, quel viaggio e quella panchina ci hanno dato qualcosa che conserviamo ancora come un regalo che qualcuno ha deciso di farci.

Alla mia amica Mariam, alla bambina georgiana.

Grazia

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